Justin Kemp, giovane uomo con un passato alcolico e un futuro da papà – la moglie aspetta la loro bambina -, è convocato come giurato in un sordido caso di omicidio alle porte di Savannah, in Georgia. La vittima, Kendall Carter, è stata presumibilmente picchiata a morte e abbandonata in un fosso dopo una violenta discussione col suo ragazzo, membro pentito di una gang di quartiere. Il colpevole ideale per i dodici giurati e per il procuratore della contea in piena campagna elettorale. Faith Killebrew espone i fatti e la vertigine sale. Justin, giurato numero 2, realizza progressivamente la propria colpevolezza nella tragedia avvenuta un anno prima, nel cuore della notte, sulla stessa strada dove si era convinto di aver investito un cervo. Sotto una pioggia battente di ricordi, il marito perfetto si scopre omicida involontario e si ritrova difronte a un dilemma morale: confessare, scagionando l’imputato, o sottrarsi alla giustizia, condannando un innocente?
La prima inquadratura è magnifica. Dopo i titoli di testa, che mostrano un’immagine di Themis, la dea della giustizia bendata con bilancia in una mano e glave nell’altra, osserviamo il volto di un’altra donna anche lei con la benda sugli occhi.
È la moglie di Justin Kemp in procinto di scoprire la ‘camera del figlio’, che il marito ha allestito per farle una sorpresa. La fascia cade e la m.d.p. adotta il punto di vista della consorte su questo “brav’uomo”, alcolista redento con cui ha deciso di rifarsi una vita.
Clint Eastwood non ha più tempo da perdere, a 94 anni continua a girare con la regolarità di un metronomo e va dritto al punto, piombandoci in una (messa in) scena coniugale, un’immagine che il film metterà rapidamente in crisi. Giurato numero 2 gioca costantemente col motivo del visibile e dell’invisibile, dell’evidente e del nascosto: la sposa bendata, il protagonista abbacinato dal temporale, il testimone confuso dalla distanza, il pubblico ministero ‘accecato’ dalla carriera… L’autore passa il tempo a evidenziare i punti ciechi, quello che i personaggi non vedono o non vogliono vedere. Ma è tutto lì, in piena luce. La fotografia è limpida, l’illuminazione uniforme, l’inquadratura spinta al massimo punto di eccellenza, eppure tutti guardano senza vedere. E qui risiede la profondità del film, molto più che nel dilemma morale che deve affrontare l’eroe e che richiede una sola scelta giusta. Non è tanto la morale in sé a essere messa in discussione, quanto la nostra capacità di cogliere i fatti a cui applicarla.
Eastwood comincia informandoci meticolosamente su uno degli aspetti fondamentali del sistema giudiziario americano, la rigorosa selezione dei dodici membri della giuria popolare. Con la logica scrupolosa di Sidney Lumet (La parola ai giurati) si addentra nelle convinzioni e poi nei dubbi dei giurati che si confrontano, uno dopo l’altro, ma con l’idea perversa che il giurato migliore, quello che come Henry Fonda non vuole affrettare il destino dell’accusato, non sia altro che il colpevole. Nessuno spoiler, è tutto nel trailer e nel debutto del film. A colpi di flashback, (di)mostra che il giurato numero 2 è quasi certamente all’origine dell’atto criminale. Se il ripiegamento della colpevolezza all’interno del cerchio dei giurati priva improvvisamente lo spettatore di qualsiasi suspense futura, la grande originalità dello script di Jonathan Abrams consiste nello sviluppare un’altra forma di tensione ascendente, stringendo gradualmente il cappio intorno al suo antieroe in preda a un dilemma insostenibile. Così mentre tutti i giurati sono convinti della colpevolezza dell’accusato, Justin, roso dalla colpa, guadagna tempo e prova a convincere chi vuole soltanto chiudere rapidamente.
- Regia
- Clint Eastwood
- Cast
- Leslie Bibb, Zoey Deutch, Nicholas Hoult, J.K. Simmons, Toni Collette
- Genere
- DRAMMATICO
- Durata
- 114 - colore
- Produzione
- USA (2024)
- Distribuzione
- Warner Bros